Through The Night Softly (Appendix #02) Testo

Per gentile concessione del suo Autore riporto un testo installativo composto per quella che sarà l'azione teatrale (o spettacolo in altra forma)  dal titolo Through The Night Softly dal 4 al 14 Maggio 2023 a Milano al Teatro Leonardo.


Michele Zaffarano 

TRE MOVIMENTI E UNA STASI

 

 

 

Primo movimento

 

Va bene, adesso prendiamo e cominciamo a pensare, adesso ci mettiamo a riflettere sul fatto che ci stiamo raccogliendo tutti quanti noi che siamo qui, noi che qui ci siamo incontrati e qui ci siamo raccolti, noi che cominciamo a raccoglierci qui, e allora infatti raccogliamoci, allora, visto che veniamo qui per raccoglierci, e che ci stiamo raccogliendo per partire, ci stiamo per mettere in movimento, adesso ci stiamo infatti per muovere, e ci stiamo per mettere tutti quanti in movimento, tutti quanti, non noi soltanto, anche gli altri che sono diversi da noi, ma che come noi si sono messi e si sono raccolti qui assieme con noi, perché assieme con noi ci sono tutti quelli che formano il gruppo in cui ci stiamo raccogliendo, in cui ci troviamo già raccolti e assembrati e assommati, e siamo quindi tutti quanti noi assieme, e stiamo usando e sfruttando e contando sul gruppo di persone che tutti quanti assieme noi e gli altri stiamo formando per muoverci in avanti lentamente, con lentezza e ponderatezza, per pensare a noi tutti quanti assieme che ci muoviamo assieme, al gruppo di noi tutti quanti assieme, e poi stiamo per forza pensando tutti quanti al fatto che ci stiamo muovendo per muoverci nella direzione dell’avanti, verso quello che ci sta davanti, verso l’ignoto, verso lo sconosciuto, verso il ricamato nascosto ibrido, che lo stiamo progettando, stiamo pensando tutti quanti al fatto che siamo tutti quanti circondati da altre persone che si stanno muovendo tutte quante come noi, così com’è che facciamo anche noi, che ci muoviamo tutti quanti all’unisono quasi, e pensiamo solo a una cosa, cioè a muoverci e ad andare avanti, pensiamo solo ad attraversare questi spazi per andare da qualche parte, per raggiungere un posto che non sappiamo bene qual è e dov’è, un posto che sta da qualche altra parte, e che non sta qui dove siamo adesso, magari sta qualche altro passo più in là, sempre che ci arriviamo a qualche altro passo più in là, sempre che ce la facciamo ad arrivarci a quel passo, e stiamo già riflettendo sul fatto che stiamo per proseguire tutti quanti assieme anche se in fondo nessuno conosce nessuno altro di quelli che stanno qui, o solo alcuni, comunque pochi, e che ci faremo trovare un po’ più in là, e là saremo tutti uguali, e avremo tutti quanti la stessa voglia di proseguire, avremo tutti quanti la stessa intenzione ed estensione del proseguire, penseremo tutti quanti di essere brutti, oppure penseremo tutti quanti di essere belli e interessanti, e notevoli per lo sforzo che facciamo, e per l’intelligenza che tiriamo fuori e ci mettiamo quando facciamo questo sforzo non indifferente di andare sempre nella direzione dell’avanti, senza guardare troppo nella direzione dell’indietro, senza guardare troppo per il sottile, senza recriminare su quasi niente, ed ecco che ci stiamo già muovendo, ecco che ci siamo già concentrati sul nostro sforzo, e sul nostro obiettivo e fondamento di muoverci nella direzione dell’avanti, di andare nell’avanti e di riflettere, oramai vogliamo solo pensare al fatto che ci stiamo muovendo, e quindi per esempio ci stiamo guardando, e ci stiamo guardando con un certo interesse, e con una certa partecipazione, e con una certa solidarietà, ognuno di noi si sta dicendo, volevo andare avanti da solo però adesso sono qui, e ci stanno tutti questi altri altri, e ci stiamo guardando tutti quanti assieme, ma chi è poi questo mio altro vicino, è a questo che pensiamo mentre ci muoviamo da qui, stiamo pensando che magari c’è un modello che rende più facile il fatto di pensarci tutti quanti assieme, il pensiero di pensare a noi, e allo stesso tempo il pensiero di pensare a tutti quanti gli altri che adesso ormai formano il noi di tutti quanti presi assieme, di pensare a chi sono quelli che ci circondano, e ci accantonano, chi sono quelli che sono i nostri vicini, al pensiero che i nostri vicini sono semplicemente quelli che sono proprio qui adesso con noi adesso, i nostri vicini sono quelli che si stanno muovendo esattamente adesso com’è che facciamo anche noi, e che si muovono e pensano di muoversi nello stesso istante in cui lo facciamo anche noi, sono quelli che si stanno spostando esattamente come facciamo anche noi, quelli che stanno facendo le scale, e si stanno scendendo le scale un gradino alla volta, e stiamo tutti quanti affrontando questo sforzo assieme a quelli che ci stanno a fianco, e affrontiamo questo comune sforzo autonomo ma comune assieme ai nostri vicini, ci stiamo anche avvicinando all’idea e al pensiero che sappiamo e ci domandiamo chi sono i nostri vicini, che cosa hanno fatto queste persone che ci stanno a fianco per essere venute qui anche loro a camminare assieme a noi, per partecipare anche loro a questo sforzo che ci porta verso una meta comune, verso un punto dove ci fermeremo tutti quanti noi e i nostri vicini, questi vicini che conosciamo qui adesso ma che in realtà non sappiamo bene con chi abbiamo a che fare, non sappiamo per esempio di che colore hanno gli occhi, questi nostri vicini di adesso, non sappiamo se hanno la camicia o la maglietta, non sappiamo se portano i boxer o gli slip o le brasiliane, non sappiamo bene che scarpe hanno, non sappiamo se le stringhe sono allacciate a otto o a dieci o a dodici buchi, e allora cominciamo a pensare che stamattina ci ritroviamo tutti quanti dentro a questo spazio, pronti a raggiungere un punto di sutura comune e comunista e dipendente, ma poi anche autonomo e indipendente, sempre comune e comunizzato nello spazio-tempo che per adesso è comune accomunato di tutti noi e di tutti gli altri, e poi dopo ma solo dopo prende una certa distanza, e accoglie una certa distanza che ci separa, e scioglie il fatto che adesso siamo tutti un noi unico e solo e individuabile visto dall’alto, e che invece per adesso non funziona come separazione ma solo come congiungimento e accomunamento, e che ci porta a confrontarci in questo momento, a realizzare che i pensieri che facciamo in questo momento, e all’interno di questo piccolo angolo di spazio-tempo, sono pensieri semplicissimi facilissimi utilissimi, sono pensieri circondanti, e avvolgenti, e rifrangenti, e circostanti, e sono pensieri tutti tesi alla tensione sana e allegra, sono pensieri che aggiustano il nostro modo di pensare alla realtà di noi che attraversiamo questa porzione di spazio-tempo per fermarci a un certo punto, per arrivare a un certo punto quando ci dicono, adesso basta, adesso fermatevi, e lì appunto, poi, adesso fermiamoci.

 

 

Secondo movimento

 

E adesso invece ci troviamo in questa situazione di stare nel mezzo, e dal dentro di questa situazione di stare in mezzo a tutte le nostre cose che stiamo mettendo assieme da qualche momento ci stiamo già in realtà un po’ muovendo, siamo qui nel dentro di qualche cosa che stiamo facendo, che stiamo continuando a fare, davanti abbiamo tutte queste scale, ce le abbiamo oramai anche dietro, e possiamo anche dire che le conosciamo, queste scale, che le affrontiamo e le conosciamo, che le pratichiamo con la conoscenza, che è anche una conoscenza pregressa delle scale, magari non proprio di queste scale che abbiamo qui, magari di altre scale, perché sì, sul fondo le scale sono tutte simili, si assomigliano tutte simili, hanno delle somiglianze di famiglia tutte simili, e questo fa sì che quando abbiamo fatto una scala capiamo subito com’è che possiamo fare tutte le altre scale, però per adesso è lo stesso, il discorso non cambia, fila lo stesso, significa che ci mettiamo a fare le scale con una certa cognizione pregressa e implicita, e naturale di causa, le scale non ci fanno più paura, le abbiamo appena fatte, e le possiamo benissimo continuare a fare, non abbiamo più paura delle scale, magari non ne avevamo nemmeno prima, di paura delle scale, però adesso siamo sicuri che non ne abbiamo più, siamo impavidi, siamo coraggiosi, siamo temerari, magari quand’è che dobbiamo votare alle elezioni politiche votiamo senza coraggio, votiamo solo perché abbiamo la pura paura, e la pavidità, perché ci fanno paura questo e quello, però adesso in questa situazione non abbiamo paura, siamo spaurati, ed è diverso da quando non siamo ancora partiti, perché le scale oramai non ci incutono nessun timore, oramai ne siamo familiari, oramai ci siamo familiarizzati con tutte queste scale che hanno ognuna tutta la loro forma, e tutta la loro particolarità, e tutta la loro peculiarità, e tutta la loro originalità propria, e siccome siamo arrivati scendendo, allora continuiamo a scendere ancora un po’ di più, e facciamo ancora un altro sforzo, e scendiamo ancora un po’ di più, visto che siamo già in una situazione di mezzo a tutte queste scale, e visto che però questa situazione non ci basta, sentiamo che dobbiamo continuare ancora, ce lo stanno dicendo infatti, che dobbiamo andare ancora un po’ nella direzione dell’avanti, che dobbiamo andare più sotto, e scendere più sotto, più in basso, anche perché adesso come adesso abbiamo solo due possibilità, o risaliamo le scale e questo significa che torniamo indietro, o le scale le prendiamo e le facciamo a scendere, cioè appunto scendiamo tutti quanti noi che siamo qui adesso con tutti quanti i nostri corpi che ci seguono, e ci muoviamo quindi nella direzione della discesa, e allora prendiamo e scendiamo, ed è oltretutto la cosa più naturale da fare, visto che qui ci siamo arrivati scendendo, se risaliamo invece magari finisce che cancelliamo tutto quello che abbiamo fatto fino adesso, tutta quella parte di viaggio che abbiamo messo assieme fino adesso, finisce che torniamo da dove siamo partiti senza che abbiamo combinato nulla, e invece adesso qualcosa abbiamo già combinato, visto che siamo in una situazione dello stare nel mezzo di qualche cosa, non siamo più quindi nella situazione dell’inizio, e siamo a un certo punto di qualche cosa, non sappiamo bene a che punto, prima siamo fermi e adesso ci stiamo muovendo di nuovo per andare verso il basso, siamo ripartiti dopo una stasi, ci siamo rimessi dentro nel viaggio continuando la direzione del viaggio che avevamo già preso prima, cioè verso la direzione dell’avanti, e allora andiamo nell’avanti, osserviamo per un momento queste scale e le scendiamo sempre tutti quanti assieme, sempre accanto l’uno dell’altro, sempre però senza parlare, abbiamo sempre paura di parlare con quello che ci sta vicino, magari quello che ci sta vicino già lo conosciamo e gli parliamo, magari invece non lo conosciamo, e nemmeno gli parliamo, e non gli chiediamo niente, e non cerchiamo di entrare nei dettagli della sua vita, e magari lo dobbiamo fare, il viaggio ci dice che lo dobbiamo fare perché il viaggio accomuna, il viaggio mette assieme tutte le cose, il viaggio di chi fa il viaggio spinge alla solidarietà di gruppo, spinge a formare gruppi e gruppettini più grandi, spinge alla solidarietà di zona, a fare i solidali fra i vicini che fanno le cose dello stesso viaggio, e allora noi possiamo anche metterci qui e chiedere al nostro vicino del viaggio quanti anni ha, se magari a casa ha lasciato qualcuno che gli interessa o gli piace o gli preoccupa, se ha mangiato qualche cosa e magari proprio che cosa hai mangiato, qual è l’ultima cosa che ti ricordi che hai mangiato, caro vicino delle mie cose del viaggio, e poi magari di che cosa ti occupi alla mattina quando ti risvegli alla vita, caro vicino, noi tutte queste cose le possiamo chiedere, però dopo invece non le chiediamo, nemmeno adesso le chiediamo, è sicuro che non le chiediamo, stiamo soltanto qui a muoverci con tutta la calma che ci permette il caso di essere vicini e attaccati vicini l’uno dell’altro, tutti quanti assieme, tutti quanti rilassati, senza fretta, come se qualcuno ci sta guidando lentamente, con determinazione, e con attenzione, e con delicatezza, e con rilassatezza, e magari anche con un filino di apprensione, perché possiamo sempre cadere, possiamo sempre scivolare sui gradini delle scale e farci male, sulle scale c’è sempre qualcuno che scivola e si fa male alla schiena, oppure si fa male a un dito, e magari il dito è l’anulare sinistro, magari gli sfugge il corrimano di mano e si fa male, e allora quelli che ci guidano in realtà ci stanno attenti, e ci controllano, e ci parlano, e ci dicono delle cose da lì dove sono nell’ombra, ci seguono, ci stanno addosso, ci danno molte attenzioni per noi, e noi invece neanche parliamo tra di noi, non ci rivolgiamo l’attenzione, oppure lo sguardo, oppure la parola, oppure la mano, per non scivolare anche se non stiamo scivolando, e invece noi non ci preoccupiamo, continuiamo a camminare seguendo le cose che riguardano il nostro viaggio che stiamo facendo adesso, seguendo la nostra direzione del viaggio, andando dove dobbiamo andare, che poi non è che lo sappiamo dove dobbiamo andare, neanche dove stiamo andando, poi però è lì che stiamo andando, è verso quel punto lì che non sappiamo neanche dov’è che ci stiamo muovendo, e prima o poi arriviamo a un’altra stasi, e ce lo diciamo e lo speriamo pure, che arriviamo a un’altra stasi, ci diciamo che ci fermiamo, che molto probabilmente ci stiamo già per fermare, e però non lo sappiamo bene, non si sa mai com’è che funziona, com’è probabile che funziona, com’è probabile che funziona così, e quindi continuiamo a camminare, e stiamo attenti a dove mettiamo i piedi, e poi c’è anche l’altro fatto, che magari ci stiamo mettendo a cercare di parlare con i nostri vicini, dire due cose delle cose del viaggio alle persone con cui siamo viaggianti assieme, e poi invece non facciamo niente, perché se parliamo finisce che poi si rompe subito l’atmosfera, e ci sentiamo costretti a mettere fuori le cose che stanno dentro del viaggio, e questa non è una cosa che si fa, non ci va di farla, di mettere al fuori le cose del dentro, non è una cosa che abbiamo voglia di fare, in questo momento stiamo camminando, poi scendiamo, e mettiamo un passo dopo l’altro passo, e il passo che viene dopo è sempre più in basso rispetto al passo che viene prima, e anche le persone dei vicini che ci stanno a fianco le vediamo che scendono a scatti pure loro, tac tac tac, una spalla giù, tac tac, un’altra spalla giù, e va tutto così, scendiamo tutti quanti così, siamo tutti quanti contenti che scendiamo tutti così, non ci pensiamo, e non ci preoccupiamo, perché in fondo siamo contenti anche così. 

 

 

Terzo movimento

 

E alla fine lo vediamo, è evidente e chiaro a tutti quanti noi che stiamo qui, che non facciamo altro che passare, che passiamo e basta, solo questo, passiamo e basta, e poi passiamo tutti quanti assieme quelli che siamo, e quando passiamo vuole dire che passiamo nel mezzo di grandi spazi, e questi spazi che ci passiamo dentro noi prima non ci siamo, perché prima stiamo nel mezzo di altri spazi, spazi che sono tutti diversi e staccati, magari sono anche spazi alleati e non succubi, però sono sempre spazi e ambienti e configurazioni e assetti ambientali diversi, orchestrati diversi, organizzati diversi da adesso, da questo spazio che stiamo attraversando adesso, e ci rende consapevoli dello spazio di adesso che attraversiamo, e infatti ci muoviamo bene dentro questo spazio diverso da prima, e nel mezzo di questo spazio ci spostiamo, e quando ci spostiamo dallo spazio all’altro spazio ci mettiamo ad attraversare quest’altro spazio, che è uno spazio più in grande, è uno spazio che dentro ci stanno un sacco di cose tutte diverse però anche un po’ tutte uguali, noi non ci sentiamo bene, siamo occupati ad attraversare, a passare, a completare questo passaggio tra spazi per opera nostra, di noi che siamo e ci sentiamo protagonisti, e ci pensiamo però, a noi nello stato di attraversanti, di passanti, e ci dicono infatti che possiamo solo passare, che dobbiamo solo passare, che dobbiamo muoverci solo nello spostamento, ce lo dicono che possiamo soltanto passare senza fermarci, senza approfittare delle sedie che ci guardano che le attraversiamo senza sfruttarle, e passiamo oltre le sedie, e sopra le sedie di velluto rosso, sopra in fondo in fondo c’è anche uno schermo, è una delle cose che ci stanno assieme a tutte le altre cose che troviamo qui, c’è lo schermo, e sopra di questo schermo ci sono altre cose ancora che passano, che si svolgono, che trovano un loro sviluppo che poi si sviluppa assieme a il nostro sviluppo, che da tutt’uno così mescola e si fonde, rientra nel pensiero che ci facciamo di noi che passiamo, le immagini che si svolgono sul sopra di questi schermi in fondo in fondo si mescolano ai nostri pensieri che ci facciamo su di noi passanti e attraversanti e mobili, e siamo tutti assieme, noi che passiamo e le immagini che ci accompagnano dopo che si svolgono su questo schermo, ci siamo in sostanza noi che passiamo e quando passiamo è come se questo spazio anche noi lo attraversiamo stando sopra di questo schermo che sta là in fondo, e poi si sommano assieme tutte le altre cose che passano assieme a noi, è questa esperienza del passaggio, questa esperienza di noi che passiamo, delle cose che passano assieme a noi che passiamo accanto delle cose che passano nell’assieme di tutti quanti noi, è questa esperienza una vera esperienza incredibile e sensibile del passaggio, e per capirla dobbiamo guardare anche quali sono le cose che vanno di passaggio, dobbiamo stare dentro questo passaggio, e mentre stiamo dentro dobbiamo guardare le cose che passano, perché è tutta un’esperienza così, è un’esperienza che va avanti anche da sola pure se ci siamo noi assieme, ed è veramente difficile da raccontare, e quando poi ci passiamo, quando poi cioè ci passiamo dentro, quando ci passiamo sopra e dentro questa esperienza tutti quanti noi che siamo, vediamo anche le immagini che ci portiamo dentro, anche le immagini che ci siamo detti che ci sentiamo di portarci dentro, perché prima le abbiamo viste fuori, per esempio guardando gli altri che passano nell’assieme di noi, per esempio vedendo quello che succede sullo schermo che sta in fondo in fondo alla stanza, dall’altra parte dove finisce la stanza, in mezzo al buio, che poi non è un buio totale, non è un buio buio, perché un po’ di luci ci sono, sono le luci del nostro passaggio, e ci illuminano e ci fanno vedere i passi di noi che pensiamo solo a passare, e ci immaginiamo che ci portiamo il peso di noi che stiamo passando, perché in fondo passare è un peso, passare pesa, il passaggio è un messaggio, e non dobbiamo fermare il nostro passaggio solo perché ci distraiamo, solo perché ci sembra di essere assenti, solo perché ci sembra di strisciare in maniera incongrua e indebita, malamente, di non passare bene, di passare in maniera anche interessante, però sempre indebita ed esibita, e allora passiamo mettendo i piedi uno dopo l’altro, e il passaggio allora lo passiamo pensando ad altro, non è che pensiamo soltanto al fatto di passare attraverso questa esperienza, soltanto a questo ipotetico pensiero che da una parte c’è il passaggio e dall’altra ci siamo noi tutti che applichiamo il passaggio, in prima piega, e passiamo anche attraverso le immagini che ci circondano piano, e le incameriamo, e facciamo tutto a posto, sappiamo che passandoci pensiamo a noi passanti, e ci pensiamo mentre stiamo in mezzo all’azione del pensare e del passare, al passare al pensiero del passare, e questo ci illumina la strada, e ci fa capire che siamo nel giusto, che non stiamo deviando dalla nostra strada, e ci permette di fare il nostro percorso, di percorrere la nostra diritta via, e ci permette di non spaventarci, di non angosciarci, di non pensare male della nostra vita e del fatto che magari la stiamo pure sprecando, magari la stiamo pure buttando via, magari stiamo pure buttando la misura giusta, nella maniera giusta, con le giuste dosi, e questo fatto di sapere che stiamo passando, che magari stiamo già buttando via tutto, questo fatto è un’esperienza che ci obbliga, ci fa sentire in un certo senso obbligati a passare, ci fa sentire nel giusto del passaggio, e qui noi passiamo, passiamo nel giusto e siamo giustamente noi che passiamo, e mentre passiamo pensiamo al fatto che stiamo passando, che stiamo andando verso quella che è un’altra porta, ed è in fondo dall’altra parte, ed è probabilmente la porta attraverso quella porta che passeremo per spezzare il nostro passaggio, per decidere che il passaggio è terminato, almeno temporaneamente, che stiamo per passare a un altro passaggio, a tutta un’altra cosa, a qualcosa che ancora non c’è nel dentro del passaggio, e mentre passiamo tutti quanti che siamo passiamo attraverso tutte queste cose, e poi pensiamo a passare come tutti quanti passano, e poi c’è probabilmente nel futuro non adesso un altro momento di passaggio, e noi siamo qui per andare a scoprire le cose del nostro prossimo passaggio, le cose che è come se sono cose che ci rivendicano, e ci suggeriscono quasi un altro nostro nuovo passaggio, di passare a un nuovo passaggio futuro, e di capire verso che cosa ci porta questo passaggio venturo che prima non vediamo, che cos’è questo passaggio, di che cosa è fatto, a che cosa serve, ma in fondo a pensarci bene passare non è l’unica cosa che facciamo, noi passiamo, e quando passiamo siamo il passaggio, diventiamo il passaggio nuovo e altro che prima non c’è, e adesso invece si fa presente e c’è, e arriviamo poi all’analisi di questo passaggio, lo pensiamo e lo analizziamo, e poi pensiamo e analizziamo e guardiamo le fasi di questo passaggio che ci precede, e che poi ci segue in altra forma, ci passa accanto a tutti di noi, a chiederci qual è lo scopo ultimo ultimo, qual è l’ultima finalità di tutto questo passaggio, qual è l’ultimo intendimento, l’ultimo superstrato di pensiero che si rivolge proprio al nostro pensiero, con il pensiero che si rivolge a tutta questa esperienza del noi che passiamo, perché ci spostiamo, perché passiamo, perché siamo passati, perché ci guardiamo quando passiamo, che cosa pensiamo quando guardiamo quello che vediamo quando passiamo, perché pensiamo a quello che vediamo e non a quello che sentiamo, perché pensiamo a quello che sentiamo quando possiamo passare tranquillamente e senza drammi, perché pensiamo a passare e non a non passare, a lasciare perdere, a stare fermi in un momento estremo e prolungato di non passaggio, perché ci dicono di passare anche quando non possiamo usare niente di quello che scopriamo quando passiamo e ci dicono di passare, perché dobbiamo solo passare, che cosa significa che passiamo quando passiamo, che cosa significa il passaggio di noi che passiamo, che cosa significa e basta di quello che sentiamo quando passiamo. 

 

 

Stasi

 

E adesso ci fermiamo nel dentro di questo momento della stasi dopo il passaggio, dopo il movimento che passiamo, ci stanziamo, ci hanno detto di fermarci e di stanziarci, e noi ci fermiamo e ci stanziamo, interrompiamo il movimento del passaggio, lo mettiamo in pausa, mettiamolo nel dentro di una pausa che lo ferma, e ci ferma di tutti noi che siamo qui, ci fermiamo e ci mettiamo nel pieno dentro dello stato di attesa, e inoltriamo e allarghiamo la sensazione e l’esperienza della pausa, inoltriamo tutti quanti noi stessi nel dentro pieno grande e profondo di questa pausa che interrompe il passaggio di noi, e l’attesa è l’attesa del fatto che noi riprendiamo il passaggio, che ci rimettiamo nel dentro del passaggio successivo che c’è, però intanto al momento è la stasi che ci ha preso, è lo stato della stasi che ci arresta e ci blocca, e ci allenta, è nel pieno dentro del momento della stasi che ci lasciamo andare, che ci accomuniamo di nuovo nello sforzo rilassato che ci ferma tutti nel mentre che ci guardiamo, e stiamo appunto, ci fermiamo dentro nel pieno del sostare, e sostiamo, ci arrestiamo, arrestiamoci, impariamoci ad arrestare, arrestiamoci, ridiamo importanza ai nostri muscoli che adesso stanno fermi, sentiamoli, mettiamoci a riflettere, mettiamoci a pensare, principiamo nell’entrare dentro dello stato che guardiamo, e riflettiamo nel pieno mentre che stiamo nello stato di noi fermi, guardiamo, allora guardiamo il perché del fatto che siamo fermi, guardiamo il perché che abbiamo assunto la posa dell’attesa, noi che stiamo nel dentro colmo e tranquillo dell’attesa, esiste e sussiste, c’è sicuramente qualche motivo della stasi di noi, per noi c’è la stasi, esiste la stasi prima di ogni altro passaggio finale, prima di ogni altro passaggio ulteriore e finalizzato al termine, alla terminologia, al problema classico e sostanziale dell’entrare nella consapevolezza del pensiero dell’uscita terminante, di noi che usciamo tutti quanti che siamo qui, è il pensiero la riflessione dell’esagerazione del protagonismo di un passaggio che ci ha visti protagonisti mobili e mobilitati verso il pieno fragore della consapevolezza, e a volte siamo invece fermi, com’è adesso che siamo fermi, e ci guardiamo tutti quanti, ci guardiamo tutti gli uni con gli altri, per capire il perché ci fermiamo e non parliamo, se non parliamo, e capiamo che l’uscita è vicina, che la piena fine del passaggio che porta al fuori è una piena fine vicina, che quello che dobbiamo fare lo facciamo, che quello che è il nostro vero e unificato compibile lo compiamo, che esageriamo la nostra stessa esagerazione di protagonisti, che ci avviciniamo a un’avventura, ci avventuriamo nel pieno oltre rispetto a questo passaggio, e poi nel durante di questa fase di stasi di adesso assaporiamo l’uscita, assaporiamo il fatto che usciamo e rivediamo, contorniamoci allora di questi preziosi minuti che ci vengono dal pieno denso e scolato dell’attesa, assumiamo la posa di noi pronti all’ultimo scatto, teniamoci pronti quando ci dicono guardate, uscite, parlate, sparite, sparpagliatevi, sparite, siamo pronti a sparpagliare tutti quanti noi che siamo, siamo pronti a entrare nel pieno fulcro dell’ottica che la nostra comunanza, la nostra solidarietà, i nostri piedi comunisti accomunati nell’assieme indiviso ci dividono qui, ci dividono partendo da quello che è lo stare qui, partendo dal passaggio che c’è dal momento successivo della nostra stasi, e ci portiamo dietro e dentro il senso colmato dell’altezza, ci portiamo ancora e aspettiamo un’altra altezza che ci aspetta nel momento che viene dopo, siamo nel mezzo fondato dell’attesa, siamo nel bel mezzo di un’altra attesa, nel mezzo altalenante di un’altra stasi di noi, vige l’abilità di qualsiasi movimento che noi facciamo, vige l’abilità di qualsiasi pensiero che ci viene inespresso da esprimere, viene l’abilità di noi che facciamo una qualsiasi altra esperienza della vita, siamo alla metà della vita, siamo a tre quarti della vita, siamo a metà della metà della vita, e siamo pronti a il prenderci l’altra metà della metà della vita che ci aspetta infatti nell’uscendo, stiamo andando ad affrontare il prossimo passaggio, il prossimo passaggio non c’è ancora, c’è solo tra poco, a noi ci sembra dopo di rinascere, di ripartire, che ci riprendiamo in mano la nostra vita, tutti assieme tutti quanti, però separatamente, pronti a ricordarci i movimenti e i momenti del pieno passaggio nella parte comune, nel comunismo di noi al dentro dello stato di piena e brulicante attesa, nel momento della stasi in comune, e continuiamo a pensare a tutto quello che accumuliamo nel segreto contrafforte della nostra esperienza, a tutto quello che ci è sembrato giusto accumulare nel dentro accumulante della nostra memoria, per poterlo ricordare nella comunanza, nel comunismo con tutti gli altri che ci circondano, nel comunismo con tutti questi che magari ci circondano anche adesso, per poterci disfare di qualche cosa, ora ci riappropriamo delle nostre vite, ora ci riconfiguriamo per tornare padroni e vincitori sulle nostre vite di noi tutti che siamo qui, delle nostre vite che ci aspettano, le nostre vite ci aspettano, succubi, e prone, e accoglienti, le nostre vite ci stanno al di là di questa stasi, ci stanno al di là di queste scale, ci stanno alla fine del movimento su queste scale, ci stanno nella parte oltre di quelle porte, perché in fondo ci sono delle porte, e sono le porte del nostro passaggio che finisce, e si arresta, e quando le passiamo ce le dimentichiamo, però anche le passiamo, e le consideriamo, e ci danno consapevolezza, anche adesso che non le passiamo ancora, e le vediamo e basta, anche adesso ci danno consapevolezza di quello che fra poco passiamo, del nostro pensiero che muta, e cambia, e si evolve e passa da momenti di indistinzione a momenti di distinzione, sono i momenti della morte di qualcosa, e della nuova vita di qualche cosa che è altro di noi che siamo tutti quanti qui, qualche cosa che ci viene dato, che ci inoltra e ci inalbera nel dentro avvolgente e profondo dell’altro, ed è l’altro che ci interessa, è l’altro che non è qui adesso in questo pieno dentro di questa stasi, che si trova nel pieno sviluppante movimento, nella prosecuzione di questo momento che adesso è fermo, e pausato, e autoriflettente, e allora pensiamo a tutta questa nostra esperienza che abbiamo passato, pensiamoci, riflettiamoci, ponderiamoci, tutti quanti assieme che siamo qui, e anche tutti quelli che ci hanno accompagnato fino nel momento presente dello stacco che viene tra poco, quelli che ci hanno detto che ci accompagnano, tutti quelli che ci pensano a noi assieme a tutti quanti, in questo infeltrito oramai passaggio, in questa pausa dal passaggio, che è il momento attuale presente, e poi ci configuriamo, e possiamo pensare a tutti i nostri mali, a tutti i nostri dolori, a tutte le nostre sofferenze di noi che passiamo, a tutto quello che succede nella vita fuori di qui, perché qui siamo di passaggio, e ci occupiamo solo del passaggio, non pensiamo ad altre cose che sono diverse dal passaggio, qui pensiamo a passare, qui pensiamo solo a stare come stiamo facendo ora, a stare nel dentro pieno e avvolgente e sincretico del passaggio, a stare della considerazione di quello che significa lo stare, la stasi, l’arresto, l’arrestarsi del movimento di noi che passiamo dal dentro nascosto e allo stesso tempo visibile ed evidente del passaggio alla stasi e poi ancora a un altro movimento di passaggio, ci abbandoniamo al sogno dell’uscita, abbandoniamoci al sogno della fine, abbandoniamoci e ristagniamo nel piano pieno fruttuoso del sogno del siamo finalmente altri, siamo finalmente fuori, siamo nel pieno del sogno della liberazione, siamo il sogno del finalmente stiamo bene, siamo il sogno del finalmente siamo tutti uguali e stiamo tutti bene, ci vogliamo tutti bene, adesso sì che ci vogliamo tutti bene. 



Michele Zaffarano (foto Dino Ignani)

 

 

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