Una Medea fra barbarie e civiltà


A teatro si tratta di fare un’esperienza d’incontri 

con l’idea che è esplicita, pressoché fisica. 

Alain Badiou


Che cosa è la civiltà e che cosa è la barbarie?

Chi sono i civilizzati e chi sono i barbari? 

Che cosa succede ai barbari quando incontrano la cosiddetta civiltà? 

Ed è in grado la cosiddetta “civiltà” di mitigare le pulsioni e i comportamenti dei barbari? 

E perché i civilizzati dovrebbero essere meglio dei barbari? 

Queste e altre domande sull’incontro/scontro fra barbarie e civiltà fa nascere questa messa in atto (e non messa in scena) della Medea ispirata da Euripide, ma riscritta da Filippo Renda, che ne cura anche l’installazione sul palco e si incarica di assolvere alle funzioni del rito nel nome di Giasone. E per questi e altri motivi è una Medea che sorprende per la sua emblematicità e per il suo potere straniante.

Perchè ritengo che questo spettacolo (per convenzione lo chiamiamo così) sia una messa in atto? Semplicemente perchè è l’azione a guidare gli attori/ministri di un culto pagano e politico che scelgono di non recitare le parti dei protagonisti coinvolti nella vicenda. Essi non interpretano, ma agiscono “in veste di” Medea, Creonte, Glauce, Giasone, nutrice e via di seguito, seguendo uno schema prestabilito di movimenti, posizioni, dichiarazioni, confessioni, litanie che cambiano ogni sera di ogni singola replica, non nella struttura della sequenza verbale, ma nelle “cerniere” che uniscono i fatti enunciati.

Essi sono un drappello di uomini e donne nello spazio di un palcoscenico vuoto, allestito di elementi necessari all’azione (utensili, manufatti, simulacri, bastoni, piante e abiti) che vengono utilizzati secondo un preciso canone prestabilito e utile alla liturgia straniante e alienata di ogni sera.


Il dispositivo installato è composto di “cerniere” che incatenano lo svolgimento e l’esposizione dei fatti tragici attinenti alla Medea riscritta per l’occasione da Euripide.

Quelle che io chiamo “cerniere” sono in parte inni (o litanie) consegnate al pubblico in forma di libretto da “recitare insieme”. Questo accade per volontà di una liturgia di gesti, atti/azioni, vocalizzi e invocazioni, che determinano un’auto-esposizione del corpo e della voce e che costituisce un rituale che si avvicina più alla body art che al teatro per come lo conosciamo anche nelle sue forme più performative legate comunque a un’armonia estetica.

E perché mi riferisco - nel nostro caso - a un dispositivo messo in atto da un’installazione per l’enigma-Medea? 

Per il motivo molto semplice che non esiste in questo spettacolo (per convenzione continuiamo a chiamarlo così) un’ansia estetica, una vanità performativa, ma esiste - al contrario - una precisa presa di posizione politica della funzione teatrale, dell’appuntamento teatrale.

Per questo è anche possibile che gli spettatori e alcuni operatori o osservatori critici delle vicende del teatro corrente possano essere fuorviati, allontanati da qualcosa che non assomiglia a nulla di ciò che vediamo sulla nuova scena teatrale italiana.

Lo dico con sorpresa e ammirazione per il coraggio di usare il teatro come “momento”, come atto, come infatuazione, come euforia, come insensatezza, come demenza e alienazione. Evviva! 


Dico evviva perché ci siamo abituati a certi falsi ministri del culto (del teatro) che non fanno altro che pavoneggiarsi creando immagini, situazioni, simulazioni e contenuti verbali e visivi che si presentano in modo “strabiliante” (e sostenuti da una certa critica voyeristica) quando in realtà non sono altro che pura vanità, voglia di esibirsi e stupire mostrando e dimostrando un’ansia di performance, mascherata di un concettualismo inesistente e intrisa di una retorica (“sostenibile?”) insopportabile.

Questa Medea fa riflettere (nel senso che riflette come uno specchio) anche e soprattutto sullo scontro fra civiltà (Corinto) e barbarie (Colchide). Questa riflessione viene messa in atto attraverso uno schema di esposizione verbale dei fatti, scanditi da una punteggiatura sonora (attraverso il suono di tamburi) e utilizzando  un ring luminoso e concettuale in forma di confessionale pubblico

Ed è proprio la “confessione” di chi fa la funzione di Giasone, Medea o Creonte a creare il dibattito su innocenza e colpevolezza, sulle responsabilità dei ruoli maschile-femminile all’interno di un sistema politico e religioso, in cui politica, religione e magia diventano i naturali detonatori delle azioni cruente degli esseri umani.

Questa Medea ha il pregio di non contrapporre i ruoli maschile/femminile, ma di azionare i dispositivi che fanno parte dell’orrore e delle scelte e del destino delle azioni umane.

C’è da chiedersi (e Medea lo fa) se non sia meglio vivere nell’incivile Colchide piuttosto che nella civile Corinto. E allo stesso modo il confronto tutto femminile fra Medea e Glauce lascia senza parole per il destino delle scelte messe in atto da parte di entrambe. 

Durante il momento confessionale all’interno del ring luminoso non si giudica nessuno, ma si prende atto degli argomenti umani messi in gioco da intenzioni che saranno seguite da azioni. E allora diventa inevitabile il destino di una mancata discendenza, dopo la decisione efferata e ineluttabile di Medea/maga/donna/ministro di un culto esoterico quanto primitivo.


Lo schema ortogonale di gesti e posizioni utilizzato per la confessione dei fatti contempla la presa in carico delle ragioni di colpa e innocenza, che vengono sempre esposti alla sbarra di un tribunale politico (che è la platea con i suoi convenuti).


Il pregio di questa Medea sta nel suo essere funzione di un teatro che adopera le idee per parlare del mondo, evitando la facile retorica di rappresentare il mondo che - dal canto suo - è irrapresentabile, anche se molti chiedono ancora al teatro di insistere in una funzione decorativa e mimetica di una finta narrazione del mondo sulla scena.


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MEDEA, una strega
al Teatro Litta di Milano
in Corso Magenta 24
dal 28 febbraio al 12 marzo 2023

da Euripide 
riscrittura e regia Filippo Renda 
con Salvatore Aronica, Gaia Carmagnani, Filippo Renda, Sarah Short, Alice Spisa 
consulenza Maddalena Giovannelli  
scene e costumi Eleonora Rossi 
direzione tecnica, luci, suono Fulvio Melli 
assistenti alla regia Gaia Barili, Gloria Ghezzi 
direzione di produzione Elisa Mondadori  
produzione Manifatture Teatrali Milanesi
Elaborazione costumi a cura degli allievi del Corso di sartoria teatrale dell’Accademia Teatro alla Scala
le fotografie di scena sono di Alessandro Saletta

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