GETSEMANI, il secondo cammino, Gòlgota


Qualche giorno fa siamo riusciti a rivederci dopo un anno dal primo Getsemani.
Eravamo in teatro. Al Teatro Litta. Abbiamo fatto il tampone, tutti, uno dopo l’altro, aspettando all’esterno, nel cortile dell’Orologio di Palazzo Litta, per poi entrare  in sala e ritrovarci, dopo tanto tempo. Dopo un tempo che è stato un tempo diverso, un tempo vissuto come mai avremmo pensato.
C’eravamo tutti, quelli di un anno fa: Susanna, Bruna, Nicole, Gabriele e Massimo. E poi, naturalmente Susanna B. che con me lavora - in questi ultimi anni - ai miei percorsi nella theatre performance, in modo assolutamente misterioso, visto che non gli parlo molto di “che cosa ho in testa”, come dice spesso lei. Ma Susanna si fida così, per fortuna, e sa che prima o poi troviamo la strada, the path, il sentiero.



Anche se questa volta, proprio il giorno prima, le ho mandato alcune annotazioni. Non credo che spieghino molto su “cosa ho in testa”, ma servono sempre, perché diventano una predisposizione mentale al lavoro che faremo in questi pochi giorni, da lunedì a sabato di questo dicembre piovoso e pieno di una nuova realtà che ci circonda tutti e ci mette quell’inquietudine con la quale viviamo ormai da molti mesi.


Avrebbe dovuto essere con noi una nuovissima compagna di viaggio, Carola, ma purtroppo era a casa dopo l’ultimo tampone: ancora positiva. Ancora una volta la natura ce lo impedisce, ci impedisce l’incontro, il lavoro, lo scambio. Per fortuna sta bene, ma non può venire a stare con noi, anche se stiamo sempre con le mascherine sul viso, e continuiamo a igienizzarci le mani, con il dispenser messo a bordo palcoscenico.


E’ passato un anno da quando abbiamo fatto Getsèmani, in un percorso che si snodava fra l’esterno del cortile dell’Orologio di Palazzo Litta e poi l’interno della Sala Cavallerizza. Un anno che abbiamo “vissuto pericolosamente” al di là del teatro, e del teatro di performance. E durante questo anno molti di noi, fra spettatori comuni e artisti di teatro, mi hanno ricordato come fosse incredibilmente premonitore quell’incontro - fra attori e pubblico - in Getsèmani 2019. L'incontro fra “noi e loro”. Noi che eravamo lì in silenzio ad accogliere “loro”che venivano in due turni ogni sera, per gruppi di 30 persone appena.



Avevamo i guanti bianchi per rispettare il contatto con il pubblico. Avevo fatto comprare alla produzione anche le mascherine che poi non ho usato perchè volevo che oltre al contatto con gli occhi ci fosse anche quello dell’espressione del viso. E chi era venuto aveva accettato di stare con noi. Ci eravamo abbracciati, condotti per mano, sdraiati in terra sul “sudario bianco” che avevo dipinto con pochi segni. Avevamo guardato il cielo stellato cercando di interpretare noi stessi i segni dei tempi, in quella strana posizione: sdraiati su un sudario, in un cortile di una grande città, tutti insieme.
Erano gesti semplici, vissuti per costruire un percorso relazionale, in cui non c’erano parole, ma sguardi, azioni, posizioni e comportamenti comuni. Poche frasi dai vangeli, lette da noi stessi, incise sui nostri smartphone, ci avvicinavano nell’ascolto comune. Un ascolto a piccoli gruppi, tutti vicini: ecco, non potremo più farlo, forse. 



Stiamo lavorando con lenzuoli di cellophane trasparente, che ci consentiranno il contatto fisico, mediato da una membrana di plastica. Le nostre mani potranno toccare altre mani in questo modo. 
Ma sarà lo stesso, io credo, perchè questo è il modo in cui siamo costretti a vivere ora. Non sarà per sempre, ma dobbiamo accettarlo. Questo è il nostro Gòlgota, il nostro calvario. 



La relazione che ci sarà fra noi e chi vorrà venire a Marzo 2021 (con fortuna) a partecipare a questo secondo cammino vivrà con noi, quello che abbiamo vissuto tutti, che stiamo vivendo noi ora, in teatro e all’esterno in cortile, in questi freddi giorni di un dicembre che non dimenticheremo tanto facilmente.

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