RFS - Piccola cronaca e una riflessione


Massimo e Salvatore, lunedì' 28 Gennaio

Stanza 4 (lo spazio). 

Susanna torna a lavorare con Massimo e Salvatore. E qui ne approfitto per aprire una breve riflessione su un argomento che ha profondamente segnato e fatto parte della mia vita artistica e creativa legata al teatro (che sia di rappresentazione convenzionale e tradizionale, che sia legato alle forme più performative e di ricerca).
In ogni caso il punto è lo stesso: la ripetitività. Cercare di ripetere quello che è stato fatto la prima volta - durante la fase di ‘prove’ - o “quella volta” nella quale il risultato sembrava più accettabile e riuscito, nel quale sembrava che si fosse raggiunto ciò che volevamo esprimere.


Che cosa fa il teatro? Ci costringe a ripetere. Perché lo fa? Perché senza una ripetizione non ci sarebbe la possibilità di una narrazione. Perché il teatro è all’origine del desiderio di rappresentazione dell’essere umano. Il teatro è all’origine della narrazione. 

Un uomo parla e un uomo ascolta - dice Harold Pinter. Sì è tutto qui, ma il problema è che entrambi convivono in quel momento. Entrambi sono lì in quel momento. Entrambi si danno convegno per incontrarsi e decidono di partecipare insieme a una narrazione o forma di narrazione in carne e ossa fatta da un attore a uno spettatore. 
Ecco il teatro costringe gli essere umani a incontrarsi di persona, per raccontarsi storie, per narrarsi i fatti della vita, in un rito che è solo hic et nunc. Non ha altre possibilità se non quella di essere realizzato dal vivo e al momento convenuto e nel luogo convenuto.
Il teatro quindi costringe gli officianti - coloro che sono preposti a rappresentare o a narrare - a ripetere e ripetersi davanti a un pubblico di spettatori.


La ripetizione comporta uno studio, un lavoro di preparazione in modo che ogni ripetizione sia all’altezza della precedente, in modo che ogni volta ci sia quell’energia giusta a far si che il rito prenda vita.
Noi che ci lavoriamo sappiamo che il processo della preparazione è lungo, pieno di incognite, fatto di momenti in cui tutto funziona e di momenti in cui non funziona niente.
Solo ripetendo e incontrandosi più giorni di seguito e per più ore, lavorando a quello che si è costruito il giorno precedente, si realizza poco alla volta la possibilità per essere in grado di essere “pronti” per quando verranno gli spettatori.



Quello che facciamo è un lavoro lungo, paziente, fatto di illusioni e di inganni, dove la sera - quando torniamo a casa dopo ore di prove - non ci portiamo via niente, ma solo la speranza che il giorno dopo ci sia una parte del lavoro fatto il giorno prima. Che non sia tutto scomparso.
Non è come quando si è lavorato un’intera giornata per realizzare uno scatto fotografico, o una sequenza filmica, dove quello che si è fatto rimane fissato su una pellicola o in un nastro. In quel caso esiste una certezza. In quel caso esiste un dato di fatto che si traduce in testimonianza certa e precisa, attraverso un documento concreto, in grado di durare nel tempo.
Nel teatro non è così. Quello che ci si porta a casa - dopo una giornata di lavoro - oltre alla fatica e all’impegno - è qualcosa che non “esiste” se non per chi era presente nel momento in cui si è realizzata.


Nel caso del lavoro di RFS, questo dato di volatilità è elevato all’ennesima potenza, perché ci adoperiamo a un lavoro ancora più esclusivo, impalpabile, costruito attraverso una mappa energetica e di comportamento unica nel suo genere, che non si aggancia a una rappresentazione ‘normale’ o ‘teatrale’ ma si realizza attraverso una forma di scrittura vivente del tempo, messa in atto dagli attori performer nei 120 minuti in cui vivono le stanze e i capitoli di RFS, permettendo ai futuri visitatori di partecipare al loro tempo di ‘esposizione’.


E’ una scrittura asemica del corpo, delle emozioni e dei comportamenti, che Susanna conduce sul filo di una lama affilatissima. 
Basta pochissimo per ferirsi e perdere molto sangue. Il sangue di ore di lavoro nelle quali si fatica a ricostruire il percorso, a ritrovare l’energia giusta, a comporre la mappa emotiva del comportamento secondo quelle linee che hanno alimentato il lavoro fin dall’inizio. 

Solo una grande esperienza e una coscienza profonda del lavoro ci rassicurano nella speranza di ottenere il soddisfacimento adeguato per il lavoro svolto. 

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