VANISHING, il teatro


Quando il teatro sparisce dove va?

Recentemente ho avuto modo di assistere, in una serata dedicata per l’occasione, a quelli che vengono definiti “corti teatrali”. Si tratta di uno spettacolo che non è ancora uno spettacolo, perché dura solo 20 minuti, ma è realizzato per far intendere o intuire quale potrebbe essere il suo sviluppo su una durata che sarà di 60, 75 o 90 minuti, a seconda dei casi


Non è da considerarsi un “trailer” e nemmeno un “pilota” o “numero zero” (se applichiamo una terminologia che viene usata per i format o le serie televisive) ma è piuttosto una dichiarazione di intenti per un futuro spettacolo che viene mostrato a una platea di persone che sono “informate” di queste intenzioni, perché gli ambiti e i contesti in cui avvengono solitamente fanno riferimento a festival e bandi di concorso.


Questi “corti” però possono anche essere fruiti da un pubblico che non è necessariamente consapevole del loro sviluppo,  come veri e propri spettacoli brevi, perché hanno un senso compiuto: un inizio, uno sviluppo, e una fine che prelude e ha il sapore di una sorta di to be continued.

La riflessione che vorrei fare e che ho fatto nei miei pensieri, dopo averne visto almeno 4 di questi corti, in una sola serata, tutti di 20 minuti l’uno, sullo stesso palcoscenico, con una breve pausa fra l’uno e l’altro, è che il teatro sta sparendo.


Questa affermazione non è necessariamente negativa, nel senso che la progressiva “sparizione” che io noto (e annoto) per me stesso, è dovuta a una trasformazione profonda del contesto sociale in cui il teatro “abita” e si manifesta. 

Tempo, luogo, storia, società e culture sono fondamentali (lo sono sempre stati per un arte così aleatoria) e forniscono la possibilità affinché il teatro si manifesti in altre forme che non siamo quelle praticate in un passato, più o meno recente.


Se il teatro diventa “forma”, edificio di cemento, o “pratica ministeriale” (come affermava spesso Carmelo Bene), perde progressivamente un' essenza misteriosa, inafferrabile, la cui anima è il pensiero, prima ancora che l’azione. 


Questi “corti” in genere (a mio personale giudizio) potrebbero valere come annotazioni per un blog, per un post da social, per un teatro instagrammabile insomma, come ormai accade per molte altre arti (applicate) e esposizioni creative dove Instagram è la piattaforma “ideale”e in qualche modo di riferimento.

I corti teatrali sono pensati e realizzati in genere da giovani creativi, stimolati da bandi e finanziamenti (eco) solidali/sostenibili per le arti, destinati allo sviluppo di temi che variano a seconda dei tempi (e delle “agende", come quella per lo sviluppo sostenibile 2023). 


La definizione di “giovani” è in relazione al paese e la cultura di riferimento e varia da nazione a nazione. Si sa che nel nostro paese - in ambito creativo e performativo - si viene considerati giovani fino ai 40 anni e oltre, perché aldilà dei bandi e dei “finanziamenti a progetto” e di tante sbandierate “buone pratiche”, non c’è un reale consolidamento di percorso artistico e di rinnovamento dello stesso, considerato che non c’è - come spesso è capitato e continua a capitare per altri settori - una reale prospettiva programmata, ma tutto è ancora un po’ affidato al caso (all’ “io speriamo che me la cavo”). 

E negli anni “qualcuno se la cava” e continua a cavarsela, con grande fatica, indovinando una propria strada, che a lungo andare potrebbe trasformarsi in lavoro e in professione, con un guadagno reale che possa consentire all’artista una “vita reale” .


Tuttavia tornando alla sparizione del teatro credo che ciò possa risiedere una una forma di pratica esclusivamente inscritta in un processo funzionale e politico (in ambito occupazionale), utile a una società - come quella del nostro paese - che considera il teatro una forma di decoro ornamentale destinata a occhi spesso distratti e occasionali.


In questi corti (che non vanno biasimati per nessun motivo e tantomeno voglio farlo io con queste note) a mio parere è del tutto assente il teatro ed è  - al contrario - fortemente presente l’istanza tradotta in necessità di esprimere le proprie emozioni, i propri punti di vista sul “reale”, le proprie forme di militanza artistica e sociale che varia da periodo a periodo (si può passare dal tema delle badanti, a quello dei migranti, a quello del disagio sociale e delle tematiche sul genere, fino ad arrivare alle istanze ambientali, molto gettonate e in voga in questo periodo).

Ma se il teatro nasce nel mistero, in una zona sconosciuta dell’animo umano, se si confronta con il sublime e con l’utopia, se si serve di fantasmi e apparizioni  fatte di “non essenza” come può trovare spazio in una pratica asservita a un bando, a un’occasione di residenza artistica e di esposizione a premi, a una forma di x-factor personale che in qualche modo accontenta i maitre a penser dell’innovazione e della pratica spicciola (anch’essa senza pensiero), che anima spesso le occasioni considerate più innovative e politically correct della scena teatrale del nostro paese?


Se le aspirazioni sono queste, il teatro rimane e continuerà a rimanere ben nascosto, sparendo a se stesso e alla propria natura inafferrabile e insondabile.


Anche se rimane vivo il desiderio di "qualcosa", soprattutto nelle nuove generazioni, che possa riscattarci da una vita materiale, che in qualche modo definiamo "teatro", ma che in realtà non sappiamo cosa possa essere, perché lui - il teatro - rimane nascosto e spesso rende solo evidente la voglia di esprimere catarticamente le nostre emozioni davanti a occhi più o meno partecipi dei nostri desideri di rappresentazione.

In questo ci siamo dentro tutti (a iniziare da me che scrivo), ma averne consapevolezza forse è un primo misero risultato di cui accontentarsi. 


La forma è ingannevole, e ne veniamo tutti ingannati, ma per rinunciare alla forma ci vuole un coraggio che non è di quest'epoca (che è fatta di forme).


Associo questa riflessione (in contrasto o in continuità) con un lunga registrazione video di 5 ore circa su 4 incontri/seminari tenuti da Carmelo Bene (definiti da lui stesso un non parlare, un mormorare, farneticando fra me e me) dal titolo Che cos’è il teatro realizzata nel 1990 alla Sapienza di Roma


Milano (fra i primi giorni di settembre 2023 e la fine dello stesso mese)



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