La “ragione” di Zio Vanja. Parte prima


Perché Zio Vanja di Cechov?

A essere sincero io non avrei mai pensato di trovarmi a lavorare a questo testo di Cechov che - beninteso - è un capolavoro, come tutti gli altri suoi testi teatrali.


Più di 20 anni fa mi ero avventurato con coraggio in un Giardino dei ciliegi al Teatro Litta di Milano. Ho usato la parola “coraggio”, ma a distanza di tempo potrei aggiungere anche la parola ‘incoscienza’, anche se fu uno spettacolo riuscito per il pubblico e per la critica di allora. Lo ricordo con affetto e piacere. Credo, a distanza di anni, che fosse anche un buon lavoro.


Qualche anno dopo Il Giardino mi sono messo in testa che potevo portare in scena anche il Gabbiano. E ci ho provato, ma non so se ci sono riuscito. Lo ricordo come uno spettacolo che non so giudicare ancora oggi (se mi era piaciuto o no). 

Mi piacevano alcune scene nell’ insieme, le ombre degli attori proiettate a testa in giù su un grande velario che sovrastava la scena, e poi alcuni altri momenti che mi avevano ispirato (dalla scena nel deserto di  Zabriskie Point di Antonioni al Gabbiano cinematografico di  Bellocchio, forse).

In genere non conservo nella memoria tutti gli spettacoli che ho fatto. 

Amo anche dimenticarli.


E allora perché Zio Vanja, dopo le esperienze a cui ho accennato?

Posso dire che è stato un caso. All’inizio era solo un’ipotesi fuori dalle convenzioni e poi ha preso forma in una pratica “particolare”.

Il tutto (o la ragione) è dovuto a un fatto legato a un gruppo di giovani interpreti: gli allievi del IV anno professionale di Scuola Grock che - nell’estate del 2022 - si dovevano diplomare.

Il gruppo  era formato da 10 donne e 2 uomini.

Dovendo occuparmi insieme a Susanna Baccari del saggio/spettacolo - da presentare al pubblico in ottobre - non so per quale motivo mi è venuto in mente di lavorare sul tema della disobbedienza fra arte e vita.

E allora la tentazione a frequentare questo tema si è presentata sotto forma di studio per una disobbedienza (prima di tutto la mia).



Sfidare le convenzioni teatrali attraverso l'esplorazione di Cechov: è possibile?

Forse sì. Ma ci vuole molto coraggio (e ancora, di nuovo, una certa incoscienza).

Così a ottobre del 2022 andò in scena per una settimana al teatro Litta Le disobbedienti e le prove del Gabbiano di Cechov. Non erano delle “prove di scene” de Il Gabbiano, ma voleva essere un lavoro intorno al tema della disobbedienza fra arte e vita. Un tema che passava anche attraverso frammenti di lettere, scritti intorno al teatro, testimonianze su Cechov, uomo e scrittore. C’erano anche brandelli di scene da Il Gabbiano, con le parole di Konstantìn e Nina e del loro sviscerato amore per l’arte, tradito, ingannato e “involgarito” dalla vita e dagli eventi. 


Quindi - in definitiva - ancora una volta Cechov, e quel suo interrogarsi sul tempo della vita che passa, sugli amori che non accadono, sui rapporti profondi con un destino insondabile. 

Mi sono chiesto se potevo andare avanti a praticarlo questo tempo di Cechov. 


E così ho deciso per Zio Vanja, per un solo e semplice motivo: perché avevo conosciuto negli ultimi anni (e conosco ancora) un gruppo di persone che si frequentano da moltissimi anni. 

Lo fanno perché c’è di mezzo il teatro, ma soprattutto la volontà e l’impegno di trasmetterlo alle nuove generazioni che vogliono conoscerlo e praticarlo. 

Questo gruppo di persone sono stati e sono tuttora anche attori, ma soprattutto formatori, testimoni di un mestiere come è quello del teatro.

Queste persone sono gli insegnanti di una scuola che esiste da quasi 50 anni a Milano: la Scuola Grock.


A loro ho parlato del mio progetto. 

Un progetto anomalo e fuori dalle convenzioni della pratica consueta: non avevo un’idea di regia. 

Non perché mi mancassero le idee, ma perché non volevo averla

La mia idea era ed è semplicemente quella che Pietro De Pascalis potesse incaricarsi di essere Zio Vanja, e procedendo in questa via Debora Virello potessero essere Sonja, Fernanda Calati potesse essere Marina (la balia) e Maurizio Salvalalio potesse incaricarsi di essere Astrov.  Tutto qui.

Ma per fare questo avevo bisogno di un “complice” che li conoscesse - come persone e come attori - molto più di me. Per questo ne ho parlato con Claudio Orlandini, attore, regista e formatore. 

Claudio aveva vissuto e vive il teatro e la formazione con loro da moltissimi anni. 


La “famiglia” per fare Zio Vanja era al completo. 

All’origine della mia idea non c’è stato un casting quindi, ma una semplice “scelta” che evitasse ogni convenzione fra personaggi, ruoli, testo e regia. 

Mancavano però i due estranei, che si rivelano tali anche nella narrazione di Cechov: il Professore (in pensione) Serebrjakov e la sua giovanissima moglie Elena Andreevna. E così sono entrati a far parte di questa “riunione di famiglia” Gaetano Callegaro e Margherita Caviezel. 

Il primo è attore ma  anche fondatore di MTM - Manifatture Teatrali Milanesi (cui fa capo, da alcuni anni, la Scuola Grock), Mentre Margherita è semplicemente un’ex-allieva della scuola (una delle disobbedienti, di cui ho raccontato).


Tutto qui. 

Questa era ed è semplicemente l’idea per Zio Vanja che si vedrà a gennaio del 2024 al Teatro Litta, con tutta la verità, l’onestà e il destino di questa scelta che è anche una prova di vita teatrale.


E allora: potrà succedere che “la vita vera”, condivisa attraverso il teatro come destino, pratica e lavoro diventi la vita che Cechov racconta in quelle scene di campagna che io arbitrariamente (ma non tanto) ho chiamato scene di vita?


Ci stiamo lavorando e credo che  tornerò a raccontare questo nuovo e anomalo cammino.

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