Zio Vanja: Cechov e “la logica della vita”. Parte terza


Quando si prova Cechov a teatro si insegue in modo forsennato una logica.
 Lo fanno gli attori, ma lo fanno anche i registi. L’ho fatto anch’io, nel passato. L’ho fatto per una forma di inesperienza della vita, perché non c’è nessuna ragione di cercare una logica in quello che dicono i personaggi creati dal grande autore. C’è solo la possibilità di cercare una sintonia con il loro sentire, che è dettato dagli accadimenti interiori dell’anima.

Il più delle volte - cercare una logica, una concatenazione causa-effetto - è solo una scusa, a volte innocente a volte colpevole.

Perché nella vita non c’è nessuna logica. E intendo la vita di tutti i giorni. C'è un disegno a noi sconosciuto. Per questo siamo noi esseri umani a tracciare le linee per unire i punti, in modo che poi “possiamo vedere” un disegno da poter spiegare e da poterci spiegare.

Ma se nella vita non c’è una logica per ciò che ci accade, perché dovrebbe esserci a teatro?


Per gli attori è comprensibile che si cerchi una logica che in qualche modo giustifichi il comportamento in scena, le emozioni, il sentire del proprio dire. Ma è comunque pretestuoso e  non aiuta a vivere Cechov sulla scena, a interpretarlo. Perché la vita che l’attore infonde al proprio dire (al proprio personaggio sulla scena) è fasulla, come è fasullo il suo essere lì, sul palcoscenico, a ricreare con il proprio corpo e le proprie emozioni un comportamento che comunque tradisce la vita (la propria) nel suo dipanarsi.




Bisognerebbe avere il coraggio di non affidarsi a una logica, ma a un “sentire” (sentimento), esattamente come avviene nella vita, per ogni momento o accadimento. La vita è generosa (anche nella fatica e nel dolore) e Cechov lo è altrettanto, in modo non logico, ma estremo, fuori da ogni convinzione (e convenzione) psicologica, ma il fatto è che quando proviamo a mettere in scena qualcosa in teatro inseguiamo una logica conseguenza degli avvenimenti, per giustificare (da individui moderni) una forma di rappresentazione per ciò che accade, cercando una una 'ragione logica' a comportamenti che sono comunque fasulli, finti, (quindi senza una logicaapparente) perché 'inventati' per lo scopo della messa in scena.


A mio modo di vedere e comprendere non c’è necessità di capire nulla per mettere in scena Cechov, perché nel suo modo di raccontare la vita dei suoi personaggi lui segue la linea del tempo e del sentire degli accadimenti interiori dell’anima. 

Questa linea del tempo e della vita che ha le sue contraddizioni (come nella vita vera), è alterata dallo scorrere del tempo e dalle parole che si pronunciano in scena, che sono orchestrate in forma di accadimenti e di avvenimenti. 

Come dire che “una parola tira l’altra”, esattamente come nella nostra vita (parlata) quando si dicono certe parole e si esprimono certi sentimenti in un momento sbagliato e - al contrario - quando in situazioni favorevoli si dicono parole sbagliate. E poiché il teatro di Cechov è fatto di parole e silenzi, bisogna avere amore per le parole che si dicono, e allo stesso modo bisogna amare i silenzi. 

In sostanza bisogna solo voler bene alle parole, alle parole che il proprio personaggio pronuncia, comprendendo anche qual’è il momento del silenzio interiore.




Nella nostra epoca noi non abbiamo più fiducia nelle parole (e ancor meno nel silenzio), perché ci esprimiamo in modo forsennato attraverso le immagini, ma nell’ ‘800, quando Cechov scriveva, c’erano solo le parole - contrappuntate dai silenzi - a far vivere i movimenti interiori della vita delle persone. 

Ecco perché il teatro di Cechov diventa implacabile, assoluto. Perché le parole sono gli unici strumenti di conoscenza del mondo e della vita delle persone.

Noi non possiamo avere idea di cosa significhi avere a disposizione solo le parole per comunicare i nostri avvenimenti interiori, (e su questo punto insisto sempre con gli attori), perché quando Cechov scriveva Zio Vanja, potevano trascorrere anni per Sonja senza mai rivelare al dottor Astrov il proprio amore. Sei anni senza esprimere il proprio amore con le parole.


Avere solo le parole per parlare dei nostri accadimenti interiori ad altri è un prezioso tesoro di cui non possiamo immaginare il valore, perché nel tempo in cui viviamo noi siamo abituati a sprecare le parole, a usarne troppe e tante volte senza un motivo. 

Ecco perché io spesso insisto con gli attori sul fatto di non usare le parole dei propri personaggi in forma di confessione, spiegazione o sfogo per esprimere i loro accadimenti interiori.

Spiegarsi, confessarsi, sfogarsi o litigare con le parole è uso comune del nostro tempo. 

Non c’entra niente con Cechov.


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