RFS - Piccola cronaca 23 gennaio



Mercoledì 23 gennaio 


Oggi è la volta della stanza 2: il dio.

Susanna inizia il suo lavoro con Francesca e Gabriele, che si dimostrano immediatamente ricettivi. 
In questa stanza ho messo un telefono da tavolo di quelli grigi con la ghiera dei numeri. 
E anche una coperta militare di feltro grigio.
Anche Gabriele e Francesca usano il loro corpo coperto solo dalla biancheria intima e da un cappotto scuro oversize.






Dopo alcune ore di lavoro Susanna mi dice che sono molto diversi dagli altri nelle altre stanze. Sono ‘adamitici’ - dice.

Mi fermo a vedere una sequenza ‘di vita’ - cone le chiamo io - e effettivamente la loro fisicità ha qualcosa di biblico. Non è un effetto voluto. Così come non è un effetto dato dal testo di Zaffarano che intitola il proprio capitolo “il dio” con la d minuscola, perché è il dio della religione terrena. 
Sei il tuo dio - recita la voce sintetica.









Anche per la stanza 2 avviene lo stesso percorso che è quello di definire una propria dimensione, un proprio modo di vivere esposto per il tempo di 2 ore nell’anomalia di una stanza vuota con una croce rossa segnata sulle pareti da un nastro rosso. 

Che cosa c’è di naturale da proporre agli attori/performer di queste stanze? Nulla.
Non c’è niente di naturale e tutto è artificioso. In questo caso però l’artificio non è funzionale ad alcuna rappresentazione. Non rimanda a nessuna narrazione ‘altra’: è la narrazione di quel momento.
Non è collegata a parametri di senso, a quei soliti aspetti speculativi che sono contenuti in ogni rappresentazione. Qui la parte difficile del lavoro è eliminare del tutto la speculazione.

Per questo mi sono sentito in dovere di introdurre la parola ‘detention’ nel senso di trattenimento, di fermo, di detenzione.
Il senso è quello attribuito a una ‘macchina celibe’ (quella inventata da Duchamp e non solo) sostanzialmente Sostanzialmente una macchina che produce senso, ma dissipando senso, una macchina che fa i conti con l’aleatorietà e l’entropia. 

Io associo questa macchina al corpo dell’attore/performer come generatore di vita artificiale fine a se stessa, non inscritta nella ‘vita vera’ ma inscritta nella ‘vita extra-ordinaria”, quindi anche nella vita vera, quella di tutti i giorni. 

Tanto è vero che spesso quando assisto al momento in cui Susanna parla con gli attori dopo una prova, lei fa sempre riferimento all’”oggi”. 
Oggi sei diverso - oppure - oggi ti ho sentito più teso, più frettoloso - eccetera. 
Perché “oggi”?
Eppure nel caso di RFS gli attori/performer usano solo il corpo. E ogni volta il corpo è diverso. Oggi diverso da ieri e così via.

Il punto è che il corpo è una macchina complessa che ha a che vedere con la vita e il suo mistero.


Questa è una parte della riflessione che stiamo facendo in questo lavoro.

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