IL SOGNO DI UN TEATRO CLANDESTINO

C'è un’ arte retinica, un’arte che si potrebbe tranquillamente definire didascalica, e che un grande artista come Marcel Duchamp metteva in contrapposizione a un arte che privilegiasse il pensiero. 
“La pittura non dovrebbe essere solamente retinica, dovrebbe aver a che fare con la materia grigia della nostra comprensione, invece di essere puramente visiva”, affermò l’artista concettuale in varie occasioni. 


Hotel room 7, 2016, digital print, cm 100x100

L'arte visiva non è il teatro. Il teatro che dal canto suo ha a che fare con la rappresentazione è intriso di una caratteristica senza soluzione rispetto alla pittura, e questa caratteristica di fondo è la finzione.
La finzione complica una possibile “scrittura del mondo”, perché nel suo essere tale è una sovra-scrittura che si confronta con la vanità del suo linguaggio e dell’epoca in cui si pratica.
In effetti Amleto ricorda ai comici che il teatro è lo specchio in grado di reggere l’immagine della realtà. E il problema è proprio lì: quando lo specchio, trascendendo la sua funzione “di essere riflesso della realtà”, diventa vanitosamente “la realtà”, la realtà di se stesso.
E’ come dire che c’è un teatro che si innamora della propria immagine riflessa nello specchio, tradendo una funzione fondamentale come quella suggerita dal Principe di Danimarca.

Hotel room 5, 2016, digital print, cm 100x100

Il teatro si formalizza in uno spettacolo, uno spettacolo generato dal mondo degli addetti alla sua custodia, dai suoi ministri del culto più o meno illuminati. 
Anche l’arte prende una forma e lo fa nel suo manifestarsi materialmente in pittura, quadro, oggetto e così via, ma Duchamp ha aperto la strada a un arte la cui forma è difficilmente individuabile perché è pensiero del mondo, perché gioca a scacchi con la realtà del mondo, in una partita difficile che impegna ogni sforzo per sfuggire all’affermazione di se stessa. 
Anche il teatro, in tempi diversi ha sperimentato un pensiero che passava attraverso un utilizzo antropologico del corpo, cercando nel mistero, nella ritualità, una via clandestina al proprio essere e manifestarsi in evento spettacolare. E’ stato un momento performativo importante e allo stesso tempo clandestino rispetto al sistema della cultura imperante, consueta, facilmente riconoscibile.

Hotel room 2, 2016, digital print, cm 100x100
C'è da intendersi che cosa è teatro, però. 
Teatro è uno spettacolo dove viene messa in opera "la finzione" con tutta vanità culturale e di comportamento dell’epoca in cui viene prodotto? E’ quel teatro che tutti abbiamo fatto e continuiamo a fare, pieno di consuetudini, di sperimentazioni intellettuali, di procedure sterilmente “innovative”, di contenuti che ci paiono importanti, di spettacolarità emozionale e visiva? 
Potrei continuare con le domande, perché mi nascono in modo naturale osservando la scena teatrale che mi circonda. 
Ma in una di queste notti passate io ho fatto un sogno, limpido, cristallino. Il sogno di un teatro clandestino, senza regole di ingaggio, senza regole di forma, senza regole di luogo. Un teatro misterioso per pochi frequentatori (anch’essi clandestini), fatto di ritualità, di inciampi fisici e intellettuali, di fraintendimenti, fatto di depistaggi, di derive, di détournement situazionali. 
Ancora adesso mi chiedo: ma era un sogno? E da dove mi veniva?
Credo di aver evocato nel sogno alcune bizzarre esperienze vissute verso la fine degli anni ’70, e nei primi anni ’80, dove regnava una sorta di euforia, di inconsapevole azionismo, di gestualità inconsulta e in qualche modo anche ossessiva e compulsiva, che si nutriva di desiderio e innocenza.
E poi queste suggestioni si sono sovrapposte ai gesti rituali, collettivi, plateali (flash mob contro il razzismo) di uomini e donne inginocchiati, sdraiati a terra legati, schermi oscurati al nero.
Forse che quelle persone inginocchiate per 8 minuti e 46 secondi per ricordare l'uccisione di un uomo di colore di nome George Floyd mi erano sembrate migliori di qualunque spettacolo prodotto in Italia e non solo in Italia dal più grande, intelligente e quotato dei registi?

Brush (studio), 2017, digital print, cm 70x100

Era questo che aveva fatto irruzione nel mio inconscio tanto da provocarmi un sogno simile? 
Era un desiderio inconscio di un teatro "non retinico", non legato servilmente a una società educata, istruita, politicamente e socialmente corretta? Quella stessa società globalizzata che nel momento del collasso economico non se ne fa più niente della serata a teatro.

Forse il teatro clandestino che ho sognato ha a che fare con l’abbandono delle certezze evocative e culturali della rappresentazione? Forse ha a che fare anche con il fatto che la vanità dei nostri tempi è diventata insopportabile? Forse ha a che fare con il fatto che bisognerebbe avere il coraggio di credere nel miracolo di una trasformazione

Ma chi era davvero venuto nel cuore della notte a visitarmi?

Commenti

Post più popolari