IL Laboratorio permanente sulla performance: una riflessione fra teatro e performance.

Quando abbiamo iniziato era dicembre e io - dopo una lunga escursione verbale su quello che poteva essere il nostro possibile ambiente di lavoro e di laboratorio - ho proposto di descriverlo come una mappa.

Una mappa diventa determinante per stabilire il territorio o la zona che si decide di frequentare.

La performance - nel nostro caso - è un' estensione di ciò che intendiamo come teatro.
Il teatro - per come lo conosciamo e lo abbiamo frequentato nei diversi livelli di esperienza ci guida in una forma rituale di rappresentazione in cui il rapporto fra l'io narrante (attore) e l'io partecipante (pubblico) si stabilisce attraverso un canone, che nel corso delle epoche assume codici, linguaggi, gusti e grammatiche molto diverse, ma tutte attinenti a una ritualità collettiva intesa come 'rappresentatazione'. Richard Schechner nei suoi Performance Studies - citando Alan Kaprow - parla di una distinzione fra "as performance" e "is performance".

E' pur vero che quando parliamo di teatro - soprattutto in questi ultimi anni - ci riferiamo sempre più spesso a un teatro più performativo e con questo intendiamo un utilizzo del corpo dell'attore/interprete in maniera 'estesa', diversamente dalla passato nel quale il corpo dell'attore è sostanzialmente impegnato nella mimesi di un personaggio, nella sua impersonificazione, nella sua interpretazione attraverso un codice di comportamento 'ricostruito' secondo l'uso e la moda del momento, potremmo dire.

Negli ultimi anni con l'esplosione di una esposizione sempre maggiore del corpo-individuo-identità attraverso i social e il web, assistiamo a una continua sollecitazione di un identità che si scrive e si auto-scrive per immagini, scene, momenti, sentimenti, trasformando in narrazione ogni aspetto della nostra vita e della nostra identità.
E' come una necessità individuale che diventa collettiva per empatia, e occupa il palcoscenico digitale di una vita già narrata, già esposta, continuamente aggiornata dagli stessi 'interpreti'. Siamo andati molto oltre alla profezia di Warhol e ci troviamo nel pieno di una vita in streaming che diventa l'oggetto principale della nostra attenzione quotidiana.


Che bisogno abbiamo ancora di andare a teatro? E' solo uno scopo culturale, il nostro? Uno scopo artistico? In realtà noi che siamo all'interno del 'lavoro-teatro' sembriamo privilegiati dal contesto culturale che frequentiamo perché possiamo espandere la narrazione, riferendoci  e ispirandoci a soggetti, spunti, testi e narrazioni 'alte' e culturalmente garantite dal contesto del nostro settore di lavoro.

Nelle tendenze creative delle nuove generazioni degli ultimi anni quello che viene definito un teatro più performativo è tale perché si avvicina - nel linguaggio espositivo - a qualcosa che può già essere presente in un 'post' su qualche social. Prendiamo ad esempio l'auto-narrazione che è ormai consuetudine adottare nella messa in scena di un testo, o nella costruzione di uno spettacolo, essa è una forma derivata da un contesto narrativo più ampio che è già nella coscienza collettiva della 'rete', e ha superato di gran lunga quello che era il teatro di narrazione di qualche anno fa .
Un bisogno di auto-confessione, che sfocia il più delle volte in qualcosa che vuole stare 'fuori' dal teatro e risultare più vicino alla vita e che si pone come 'impossibilità di narrazione' del contesto.
Un meccanismo questo al quale ci hanno abituato i social, che a loro modo ci mettono 'fuori dalla vita' e al contempo proponendoci una narrazione della nostra vita, vera o fasulla, ma questo è un'altro argomento, di dimensioni molto più ampie.

Ecco perché il nostro Laboratorio Permanente sulla Performance - LPP si propone come riflessione di lavoro su forme di narrazione che siano de-teatralizzate abbandonando la protezione del travestimento (inteso come convenzione) al quale ci abitua il teatro.

Per questo motivo abbiamo scelto - su mia proposta - di iniziare praticando un atto/azione di scrittura della nostra identità provando a costruire una mappa più profonda e personale, nel modo più libero possibile da costrizioni culturali e di linguaggio prendendo anche spunto dai Performance Studies del già citato Richard Schechner.

Da questa mappa originale possono germinare altre e infinite istanze narrative che possono diventare testimonianza, rito, pratica di attivismo sociale e politico, e così via.


Molti sono già i progetti proposti singolarmente che stiamo vagliando e che si stanno originando da questo tipo di ricerca che si pone fuori o esterna al canone teatrale comunemente conosciuto e praticato.

Continuerò a scriverne anche in visione della NOTTE DELLA PERFORMANCE 00-06 prevista a giugno 2020 nella sede del laboratorio a Scuola Grock.

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