TEATRO: OLOGRAMMA O REALTA’?



Partiamo da un punto: il teatro negato come corpo.
Il grande tema che appassiona quanti quel corpo lo hanno usato/manifestato per secoli per creare il teatro come incontro fisico fra esseri umani, e poi incontro di parola e di narrazione.
Il corpo è sparito e ci si appassiona - lo facciamo tutti - a scavare nei nostri hard disk o nei server della rete per mettere a disposizione la video-registrazione dello spettacolo andato in scena nelle stagioni passate e in quelle più recenti.
Lo hanno fatto tutti, dai teatri più grandi ai più piccoli.
A dire la verità non tutti, perché molti non posseggono registrazioni video degli spettacoli da loro realizzati, e affidano la memoria a qualche bella fotografia di archivio. Ma a qualunque fotografia di teatro, anche la più bella, manca la voce, il gesto, l’atto.



Registrare uno spettacolo di teatro costa denaro, va fatto con mezzi che non tutti possono permettersi, anche se quasi tutti amerebbero avere una registrazione video, almeno come archivio e documentazione, nell’eventualità di una ri-edizione fisica dello spettacolo, di una “ripresa dello spettacolo” come si dice in gergo, ma lo si dice riferendosi pur sempre a una pratica dal vivo.

Tutti però sanno - quelli che il teatro lo praticano e lo realizzano - che nessuna registrazione video-televisiva potrà mai sostituire lo spettacolo dal vivo.
Sono incompatibili, perché la prima è una forma (la registrazione video), l’altra è la vita.


E qui mi viene in mente la commovente sequenza realizzata dal regista di cinema Denis Villeneuve per Blade Runner 2049 e mi riferisco al momento in cui Joi, l’ologramma “innamorato” di K, “affitta” un corpo fisico per far provare al suo compagno/replicante l’esperienza dell’amore fisico, del rapporto sessuale. La scena prevede la presenza di Joi (l’attrice Ana de Armas), di Mariette (l’attrice McKenzie Davis) e di K (l’attore Ryan Gosling). L’ologramma Joi, profondamente innamorata del replicante K, concede all’amato un corpo solido, quello della prostituta Mariette.
Nella sequenza filmica le due donne si sovrappongono nell'immagine dando l'idea che il corpo immateriale dell'una sia entrato nel corpo fisico dell'altra, senza mai combaciare nell'immagine completamente o perfettamente, con un effetto affascinante ma anche straniante. E’ uno dei momenti più potenti e indimenticabili di un film il cui tema è, e continua a essere, (come nello storico Blade Runner del 1982) più umano dell’umano.


Ecco, questa possibilità di utilizzo del corpo dell’attore nel teatro, nel periodo epocale che stiamo attraversando, è negata. Ma il teatro non può esistere come ologramma o come immagine digitale.
Paradossalmente il teatro è nella stessa condizione  di Joi/ologramma, che ama i corpi dei suoi spettatori, ma non può avere un corpo fisico per dimostrare il suo amore.
Perché il teatro è come la vita, e come giustamente dice il mio amico regista Marco Maria Linzi, il teatro nasce e poi muore, come la vita.
Questa è il suo mistero, questa è la sua magia.


E come la vita registrata non è la vita vera, perché la vita registrata è solo il pallido ricordo, solo l’ombra della vita vera, così il teatro ripreso con mezzi tecnici è solo il pallido ricordo del teatro, è l’ombra che continua a vivere in modo immateriale.
Non c’è nessuna altra possibilità per il teatro/ologramma nell’anno 2020 che quella di dichiarare il proprio amore per il pubblico senza poter dimostrarlo fisicamente.


E che cosa c’entra Blade Runner 2049 con il teatro?
C’entra perché il teatro, che è sepolto vivo nell’epoca che stiamo vivendo (e che dovremo vivere ancora per molto tempo) rischia di ingannarsi con l’ologramma di se stesso. C’entra perché qualcuno cerca in modo bizzarro di dire che nel frattempo si può fare teatro riprendendolo attraverso una videocamera, nell’attesa che possa tornare a manifestarsi il corpo dell’attore. C’entra perché alcuni, da più parti, parlano di ipotesi di canali tematici on-demand contenenti teatro.


Il problema è che non si può pensare/creare/vivere teatro a prescindere dal corpo fisico dell’attore.
Tutto nasce e si manifesta da lì, dal corpo. Il corpo è l’essenza, il vettore, l'atto.
Ma mi chiedo anche: che consapevolezza abbiamo del corpo? A cosa ci serve? Quanto lo rispettiamo? Quanto siamo in grado di vederlo? E poi che cosa ci racconta?
Non è che siamo tutti diventati un po'come K che si soddisfa dell'ologramma della bellissima Joi che lo ama, ma che non ha un corpo fisico per poterlo provare?


Tutte queste domande ci riportano anche all'interrogativo principale di questi tempi: che consapevolezza abbiamo della morte?
Perché la morte è legata intimamente al corpo, alla sua fragilità, alla sua sacralità, in quanto vita.

Se il corpo è l'oggetto principale della nostra società in quanto cura, forma, bellezza, funzionamento, performance, o se il corpo è anche 'altro'.
E' in questo 'altro' che risiede la riflessione legata al corpo del teatro come corpo fisico dell'attore/performer.
Riusciamo a intuire/vedere quel corpo come mistero, come sacralità, come simulacro, come vettore/generatore di empatia, condivisione, uguaglianza?
Riusciamo a vedere il sacrificio di quel corpo anche nell'arte, oltre che nella vita?
Riusciamo a dargli un valore? Che non sia esclusivamente dato dalla sua forma, dalla sua bravura, abilità, vanità, ma semplicemente dalla sua presenza?




I teatri e i luoghi di spettacolo saranno chiusi e vuoti per tanto tempo. Ogni altro espediente per poter ricordare che quel corpo è ancora vivo, attraverso forme e situazioni immaginate e messe in atto da chi si manifestava come corpo vivo, è solo un espediente, un grido più o meno ingenuo e disperato di un sepolto vivo.
Sì, perché ora quel corpo è sepolto vivo.
Riappare in modo alquanto pretestuoso, in primo piano, in mezzo busto, mentre narra, legge, interpreta qualcosa davanti all'obbiettivo di uno dei tanti device che ci portiamo dietro come protesi del nostro corpo fisico.
E' un corpo che si affaccia alla finestra del mondo e intrattiene, commuove, diverte, irrita, per il tempo che gli dedichiamo durante lo scrolling che facciamo con il nostro dito, che scorre e fa scorrere una vita riportata su uno schermo digitale, che non è la vita vera.


“Il futuro e il passato si confondevano; ciò di cui aveva già avuto esperienza e ciò di cui avrebbe avuto esperienza si sovrapponevano, così che nulla restava tranne l’attimo, lo stare immobile.”
PHILIP K. DICK
da Do Androids Dream of Electric Sheep?

[ Le immagini riportate sono relative a Rooms For Secrets, performance ambientale del 2019, realizzata a Milano. Le fotografie sono di A. Syxty utilizzando  un iPhone 7 e l'applicazione Night Eye per iOS  ]

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